Oratorio e sport

Intervento di don Stefano Guidi  in occasione dell’INCONTRO DI PRESENTAZIONE ANNO ORATORIANO “VEDRAI CHE BELLO”

Sabato 21 ottobre 2017

Dirigenti e Allenatori sportivi

  1. Introduzione. Oratorio e Sport: il senso di una relazione

A giustificare l’incontro di questa mattina è il senso di una relazione la cui origine si perde nella notte dei tempi. Si potrebbe pensare che – in buona sostanza – tra Oratorio e Sport intercorre una relazione di “coabitazione”. Entrambi abiterebbero cioè uno spazio neutro, intervenendo in esso con modalità e tempi diversi, con l’intenzione di riempire degli spazi … o forse anche con l’obiettivo di occupare degli spazi. Lo stesso discorso vale per i tempi: riempire tempi e occupare tempi. In sintesi però – realisticamente parlando – questo spazio neutro da riempire, occupare e coabitare, non è un terreno e non è un’agenda. Altro non è che la vita di un ragazzo, il suo tempo, il suo corpo, il suo spazio vitale, la sua personalità. Oratorio, pratica sportiva, famiglia, scuola, parentele, spazio sociale … sono soggetti reali con cui un ragazzo entra in relazione oggi. Si spera che ciascuno di essi sia in definitiva – non solo nelle dichiarazioni ma nei fatti e nelle intenzioni – un soggetto educativo, e cioè un elemento coadiuvante la crescita. Facilitante, catalizzante la crescita.

Questi soggetti educativi che coabitano lo spazio vitale che è ogni ragazzo con cui entrano in relazione, non sempre capiscono la necessità di parlarsi; non sempre intuiscono la necessità di condividere la stessa missione educativa, o la stessa finalità educativa; non sempre percepiscono l’importanza di modulare i diversi linguaggi educativi loro propri; non sempre apprezzano l’opportunità di procedere in maniera sinfonica. L’alternativa al procedere sinfonico, o come si dice oggi al lavoro di rete, è un letterale “fare a pezzi il ragazzo”. Si innesca allora il meccanismo malato della gara, della concorrenza, della corsa a chi prende il pezzo più grande. Quando tra questi soggetti scatta la dinamica malata della rivalità e della concorrenza, si smarrisce la comune finalità educativa, il vissuto del ragazzo viene fatto a pezzi, si gioca a conquistare il pezzo di vita più grande. Se pensiamo al rapporto di rivalità che spesso si genera tra famiglia e scuola, capiamo la serietà e la gravità dell’immagine del ragazzo fatto a pezzi.

Oltre l’immagine – effettivamente un po’ forte – possiamo sperare che, in un contesto sociale segnato da multi-appartenenze, i soggetti educativi non entrino in competizione tra loro. Piuttosto devono imparare a conoscersi, stimarsi, parlarsi, completarsi.

Oggi quindi ci troviamo insieme per dire che noi non vogliamo fare a pezzi nessuno. La nostra è più di una coabitazione. È una comunione. Comunione d’intenti. Comunione di missione e di visione. La comunione è quel delicato e particolare atteggiamento umano che porta a dare valore e a considerare addirittura come necessario un rapporto tra soggetti diversi. Vorremmo qui dire che la comunione tra Oratorio e Sport è di questo genere. Una comunione necessaria ad entrambi. E non semplicemente una coabitazione funzionale o al massimo virtuosa. La necessità è tutta relativa all’ottenimento del comune obiettivo educativo e in vista di un servizio educativo vero alla persona dei ragazzi.

La domanda discriminante è sempre questa: quello che sto facendo è un reale servizio alla crescita umana dei ragazzi?

Tenendo sullo sfondo questa domanda fondamentale vorrei ora tentare di tradurre il Vangelo dell’anno oratoriano in tre indicazioni di metodo, tre suggerimenti di atteggiamento comune che il mondo dello sport in oratorio può attivare per aiutare l’oratorio ad essere bello, per contribuire alla buona riuscita dell’oratorio. Per contribuire alla vita buona di ogni oratorio.

Ci mettiamo quindi in questa prospettiva: in che modo l’esperienza dello sport in oratorio può contribuire a rendere l’oratorio più bello?

  1. Invitare

La prima dimensione che vorrei sottolineare è quella dell’invito. Nel Vangelo proclamato è evidente. Giovanni invita i suoi discepoli a seguire Gesù. Gesù invita i discepoli nella sua casa. La relazione tra queste persone nasce dalla volontà di invitare e condividere. Da un interesse a coinvolgere in una esperienza. Da un’attenzione precisa verso i discepoli, che hanno bisogno di essere accolti, accompagnati, guidati. Lo sport in oratorio è come una porta aperta. Oserei dire che è la porta più aperta. E spesso è la prima porta che si apre e permette ai ragazzi di entrare facilmente nel mondo dell’oratorio. L’esperienza sportiva può contribuire a rendere un oratorio più aperto, più invitante, più attento all’interesse dei ragazzi verso il gioco. Può aiutare l’oratorio a rispondere al bisogno – legittimo anche se in sé incompleto – dei genitori di trovare per i propri figli un contesto educativo qualificato, umano, sicuro.

Ma dopo la porta cosa c’è?

La porta si apre su una casa. Ecco la domanda: dopo la porta cosa c’è? Cosa trovano i nostri ragazzi una volta varcata la soglia dell’oratorio e della Società Sportiva? Qui non possiamo rimuovere la domanda sulla qualità umana della nostra proposta, delle nostre relazioni. Stiamo attenti a non ridurre fino a far coincidere la qualità umana dei rapporti con l’efficienza tecnica! Qui potremmo e dovremmo aprire quel capitolo immenso dei rapporti all’interno delle Società: tra i ragazzi; tra allenatori e ragazzi; tra Società e giocatori; tra Società e genitori … andiamo avanti all’infinito. Mi domando se l’appartenenza ad una Società sia anche opportunità educativa per tutti, a tutti i livelli. Un oratorio a cui sta a cuore la potenzialità educativa dello sport, deve innanzitutto impegnarsi nel livello educativo della relazione tra le persone.

  1. Discernimento

Sembra un termine complicato da capire e un procedimento difficile da praticare. In realtà concerne la domanda: come posso tradurre il Vangelo con un linguaggio comprensibile ai ragazzi? Lo sport in oratorio può diventare opportunità di traduzione del vangelo in un linguaggio comprensibile e conosciuto dai ragazzi. Non intendiamo ovviamente un linguaggio teorico, scritto, verbale. Stiamo parlando del linguaggio umano. Stiamo parlando della dimensione del gioco, della convivialità, della competizione sana e umana. In questo senso io non chiedo al mondo dello sport di limitarsi, per rispetto di priorità dichiarate, tradizionali, spirituali. La priorità è chiara e va praticata. Una partita di calcio non vale come una messa! Chiedo però al mondo dello sport di sviluppare tutte le sue potenzialità educative, di crederci fino in fondo, di non trattenersi nella sua capacità educativa, di aiutare l’oratorio come Comunità educante ad imparare e parlare più linguaggi. L’iniziazione alla fede richiede di integrare linguaggi diversi in un progetto (processo) comune.

  1. Condivisione

Il breve percorso tracciato ci conduce ad immaginare un oratorio che assume uno stile di vita fraterno, dove la condivisione non è funzionale all’organizzazione del calendario, ma è espressione di una stima educativa reciprocamente riconosciuta. La porta si apre, si entra in una casa dove troviamo un tavolo e delle sedie. Si apre quindi lo spazio del racconto. Prima della programmazione e della progettazione, serve crescere nell’interesse fraterno verso l’altro. Prima di organizzare in maniera strutturata il tempo dell’ascolto, serve crescere nella qualità umana di sapersi incontrare, parlarsi, ascoltarsi, raccontarsi. Da questo substrato tipicamente umano – talvolta penosamente carente nelle nostre Comunità – si svilupperà spontaneamente il desiderio del fare insieme, nella consapevolezza che il fare insieme è qualificante, che il fare insieme è condizione necessaria per fare bene. La presentazione dell’anno oratoriano termina quindi con la consegna di un sogno, che speriamo si traduca in un progetto possibile e praticabile: il sogno di una fraternità educante, un contesto umano e umanizzante, in cui si parlano linguaggi diversi eppure comprensibili, in cui l’accoglienza non è funzionale al mantenimento di un apparato ma è il primo contatto nato dalla consapevolezza di avere tra le mani un Dono straordinario da consegnare e del dover “rispondere” ad una responsabilità educativa seria, urgente, che ci chiama in causa come adulti, prima ancora che come Allenatori o Educatori alla fede.

Per questo possiamo condividere molto. Al di là della categoria e delle etichette che ci identificano, qui entriamo in campo come adulti e come tali dobbiamo giocarci fino in fondo. Vogliamo sognare che l’oratorio sia quel contesto – speriamo non l’unico contesto! – in cui questa responsabilità di base che come adulti condividiamo, sia una scintilla capace di innescare un processo di fiducia e di speranza.

Accostarci al mondo dei ragazzi e dei giovani, per noi adulti è una provocazione fortissima. Innanzitutto a prendere consapevolezza di noi, della nostra maggiore età, della nostra responsabilità verso di loro. Ci provoca a riconoscere chi siamo. Ci provoca ad essere quello che crediamo/diciamo di essere; ad iniziare con loro una relazione educativa, che è sostanzialmente una relazione di responsabilità, finalizzata alla trasmissione del “sapere” la vita. In sintesi: accostarci al mondo dei ragazzi ci migliora, ci umanizza. Quando pensiamo alla relazione educativa rischiamo un malinteso: di immaginare una sorta di podio da cui proferire competenze. In realtà, per noi adulti, entrare in rapporto educativo coi ragazzi e coi più giovani, è un’esperienza educativa primariamente per noi, nel senso strettamente letterale del termine. Per chi intende proporsi come educatore, significa rimettersi a scuola, assumere la visione della propria vita come di un processo formativo permanente.

Si apre qui un campo immenso: quello della formazione umana. Abbandoniamo l’idea di una formazione soltanto funzionale. La questione non è più soltanto legata alla domanda: quali competenze umane devo acquisire per poter educare? Per poter essere genitore, insegnante, prete, allenatore, … Ma la questione radicale e meravigliosamente affascinante è questa: chi mi può educare ad essere uomo? Ci piace sognare che l’oratorio sia quel contesto umano che ci provoca a considerare questa domanda e a trasformare questa domanda in sentieri di senso. Non so se vinceremo il Campionato a fine anno. Certamente ci saremo dati una mano a migliorarci come persone.